La funzione dell’Uomo nell’Universo
Molto di frequente, in sede di conversazioni o di confronti o di semplici discussioni, mi capita di imbattermi in questa affermazione da parte dei diversi interlocutori: “ Se non ci fosse l’uomo nell’universo, sarebbe tutto perfetto e in armonia, perché la natura sa come creare tale armonia e senza l’uomo che la disturba costantemente con le sue azioni questa sarebbe perfetta e indisturbata in eterno. Perché l’uomo è malvagio ed egoista e vuole distruggere e impossessarsi di tutto credendosi il padrone”.
Già solo rileggendo questa descrizione si percepisce che c’è qualcosa che non torna.
Intanto: L’uomo, come tutto d’altronde, è un prodotto della natura. Quindi la domanda è: come può la natura creare qualcosa di autodistruttivo? Cioè essere distruttiva nei confronti di se stessa?
Il fatto che l’uomo risulti essere nella maggior parte dei casi distruttivo, aggressivo, perturbatore, a uno sguardo superficiale può risultare vero. Ma alla luce del fatto che la natura, madre terra, la grande madre, chiamiamola come vogliamo non può avere tendenze autodistruttive, in quanto principio di creazione, verosimilmente, il ruolo dell’uomo è dissimile da quello che comunemente si crede. Qual è, allora, questo ruolo? Che ci fa un essere così scostante, insulso, informe all’in - terno di un insieme così perfetto?
Approfondiamo lo sguardo, aguzziamo la vista e guardiamo, osserviamo il flusso.
Inizia la danza che non ha inizio. Il flusso, il fluire costante della creazione.
L’emissione, lo scorrimento, che continua e continua da sempre e per sempre, incessante e perenne.
Il suo ininterrotto fluire è eterno e perpetuo: è così e non può essere altrimenti.
Nella sua natura vi è eseguire sequenze, danzare, oscillare, ritmare.
Un succedersi incessante e persistente che nel continuo manifestarsi e muoversi consegue energia, vigore e vitalità.
Cosicchè tale movimento, nel suo eterno avvicendarsi diviene un tutt’uno, tanto che a un certo livello non ci saranno più spazi vuoti intermedi. Il suo movimento si stabilizza, si rinsalda e consolida, e quindi, nei suoi piani più interni assume l’aspetto di “materia”, acquista, cioè, la sembianza, l’apparenza da noi percepita, della durezza, della compattezza, della solidità. Una struttura con un assetto preciso, un sistema chiuso e isolato che si auto-processa ripetendo all’infinito il suo movimento.
In questa fase, cioè nello stato di” materia” tale energia/etere/prana/qi/ forza vitale/anima, ecc. o come la si voglia definire, svela una pluralità molto complessa di forme che si determinano, nelle loro vaste particolarità, su basi biologiche, genetiche, chimiche, fisiche, ma che perdurano sempre in collegamento con il flusso, la cui intensità , ampiezza ,frequenza, potenza definisce anche in massima parte le caratteristiche che una determinata forma/essere vivente, assume nella sua manifestazione. Qui vi è l’assoluto assoggettamento alle cosiddette “leggi della natura”: gli uccelli non potranno fare altro che volare, le stagioni non potranno fare altro che susseguirsi, i pesci altro che nuotare. L’unica variazione sui diversi temi è data da necessità evolutive e di adattamento, che di fatto generano modifiche, ma non così tanto rilevanti da determinare un cambiamento anche nel movimento e nel suo fluire.
Da ciò si può dedurre che tutto, nella materia, possiede i presupposti per rimanere simile a sé stessa. I cambiamenti sono sempre minimi e trascurabili e sempre funzionali al miglior andamento del sistema, il quale continuerà a manifestarsi sempre attraverso gli stessi algoritmi, quindi ogni forma sarà sempre uguale a sè stessa. Ma una creazione, degna di questo nome, necessita di un impulso, di una esortazione al cambiamento.
Immaginiamolo un mondo simile. Simile al meccanismo di un orologio, con la sola differenza che il flusso si autocorregge, si perfeziona, si ritocca, quando, per una qualsiasi ragione, si rende necessario un aggiustamento, una riparazione.
Quindi, gli uccelli voleranno ab-aeterno, e così anche i pesci che nuoteranno per l’eternità (a parte qualche piccola variazione). Il vento soffierà, gli alberi saranno sempre saldi e le loro foglie sempre cadranno in autunno. Così nei secoli dei secoli.
Ma una creazione, degna di questo nome, necessita di un impulso, di una spinta, di un input a qualcosa di nuovo, altrimenti non sarebbe “creazione” ma semplice “meccanismo”.
L'etimologia della parola creare è da ricondursi alla radice sanscrita kar- = fare, infatti, sempre in sanscrito, kar-tr è il creatore cioè "colui che fa dal nulla". Ritroviamo una simile radice nello zendo in cui kere = fare e nel greco in cui κραίνω (kraino) significa fare, compiere, realizzare. La stessa etimologia vale per parole che derivano da creare, come creatore, creatività, creazione, creatura, etc...
Il principio di creazione è fuori dal flusso, poichè questo ne è un suo prodotto. La sua è di fatto un’attività insieme di “ideazione” e di “azione”. Esso, per sua natura non sopporta la ripetitività e tutto ciò che si reitera sempre uguale a sé stesso, in una ripetizione costante, perchè questo è nella sua natura, altrimenti non svolgerebbe la sua funzione. A questo punto, osservando il comportamento dell’uomo si può ipotizzare che tale funzione è propria dell’UMANITA’, intesa in senso aggettivale cioè quale caratteristica che si esplica esclusivamente nell’ente Uomo.
Ecco quindi che l’uomo, in quanto funzione di creazione non appare nella materia con programmi già fissi e determinati. Esso è dotato esclusivamente di una fonte di energia, una semplice fiammella di umanità e questa gli sarà sufficiente per svolgere il suo compito. Non gli sono stati inseriti schemi rigidi, limitanti e determinati, se non il minimo essenziale utile alla sopravvivenza.
Molto esemplificativa, in questo senso è la “Oratio de ominis dignitate “: “Orazione sulla dignità dell’uomo” di Pico della Mirandola:
Qui è Dio Creatore (quindi il simbolo del principio di creazione) che parla e che spiega all’Uomo-
Adamo perché ha scelto di plasmarlo con quelle determinate caratteristiche:
cit. «Non ti ho dato, Adamo, né un posto determinato, né un aspetto tuo proprio, né alcuna prerogativa tua, perché quel posto, quell'aspetto, quelle prerogative che tu desidererai, tutto appunto, secondo il tuo voto e il tuo consiglio, ottenga e conservi. La natura determinata degli altri è contenuta entro leggi da me prescritte. Tu te la determinerai, da nessuna barriera costretto, secondo il tuo arbitrio, alla cui potestà ti consegnai. Ti posi nel mezzo del mondo, perché di là tu meglio scorgessi tutto ciò che è nel mondo. Non ti ho fatto né celeste né terreno, né mortale né immortale, perché di te stesso quasi libero e sovrano artefice ti plasmassi e ti scolpissi nella forma che tu avessi prescelto. Tu potrai degenerare nelle cose inferiori, che sono i bruti; tu potrai rigenerarti, secondo il tuo volere, nelle cose superiori che sono divine».
Una grande dose di libero arbitrio è necessaria per poter creare secondo il processo di ideazione, prima, e di azione, dopo.
L’azione della creazione non può esplicarsi all’interno di un sistema rigido e determinato ed ecco che l’uomo esplica tale funzione.
Possiamo quindi affermare, senza ombra di dubbio, che senza la presenza dell’uomo il mondo sarebbe stato costantemente, nell’eternità sempre uguale a sé stesso, ripetitivo e monotono e quindi assolutamente privo di senso. Nessuna variazione, nessun perturbamento, mai nessun cambiamento. Un eterno fluire uniforme, regolare perfettamente in equilibrio, indisturbato. Ma è proprio quell’ apporto perturbativo, che può risultare a volte caotico e confuso, a volte eccitato o sconvolto, irrequieto o furioso che fa si che si provochino opere nuove, nuovi enti, nuove realtà e nuovi contenuti, tale che l’eterna danza della creazione possa sempre avere luogo in una sempre stupefacente celebrazione di sè stessa.